Preghiera e Liturgia

Santo Stefano 26 Dicembre

StefanoprotomartireIl vero perdono è un atto soprannaturale.
«Signore, non imputare loro questo peccato» At 7,60.

Il nome Stefano, nella lingua greca, vuol dire «coronato», il Santo che oggi festeggiamo, aveva quindi già nel nome il suo destino di gloria. Sulla testa del martire viene messa una corona di spine, come fu posta sulla testa di Cristo, la quale penetrando nella carne ne riga di sangue il volto, togliendogli ogni apparenza di bellezza, ma dopo la morte quello stesso volto risplenderà di una luce abbagliante nelle sfere più alte del cielo. Quello che sappiamo di Stefano riguarda gli ultimi giorni della sua breve vita ed è contenuto negli Atti degli Apostoli. Dopo la sua elezione a diacono, non si limitò a compiere le mansioni pratiche inerenti al servizio delle mense, ma si rese attivo nella predicazione, e pieno di grazia e di fortezza quale era, convertì molti a Cristo.

Nome: Santo Stefano.                   Titolo: Primo martire.
Nascita: 5 dopo Cristo.                  Morte: 34 dopo Cristo, Gerusalemme.

Stefano fu il primo a dare la vita per Gesù Cristo. Ebreo e convertito alla fede dalla predicazione di S. Pietro, mostrò subito un meraviglioso zelo per la gloria di Dio. Fu eletto dagli Apostoli primo dei sette diaconi. Pieno di grazia e di fortezza, predicava e confermava la predicazione coi miracoli.

Proprio per questo gli ebrei ellenistici, preoccupati del gran numero di convertiti alla nuova fede, lo trascinarono davanti al Sinedrio, e servendosi di falsi testimoni, lo accusarono di proferire parole contro il Tempio e la Legge di Mosè cfr. At 6,13. Il diacono Stefano pronciò allora un accalorato discorso, il più lungo riportato dagli Atti degli Apostoli, che si concludeva così: «O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quali dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata» At 7,51-53. A quelle parole, i presenti, presi dall’ira si scagliarono contro di lui, lo trascinarono fuori delle mura della città e lo lapidarono crudelmente.
Mentre il giovane diacono tutto insanguinato crollava sotto i colpi della turba inferocita, lo sentirono dire: «Signore, non imputare loro questo peccato» At 7,60.

Fermiamoci su queste parole che furono le ultime e, quindi, le più importanti della sua vita, parole di perdono per i suoi aguzzini, che mostrano a quale livello di carità era giunto questo santo discepolo di Cristo. Il perdono è indubbiamente un atto molto difficile da compiere, anche per offese di minore entità. Tuttavia, dobbiamo sapere che non siamo soli in questo combattimento, che possiamo contare su alcuni aiuti. Un nostro alleato, almeno sul piano naturale, è il tempo. Normalmente il perdono è sempre un cammino che comporta delle tappe, e quindi ha bisogno di tempo. Per perdonare, in realtà, bisogna moltiplicare le spinte interiori alla riconciliazione. Talvolta trascorrono mesi, o addirittura anni, prima che si riesca a perdonare completamente. Col tempo il mare agitato del cuore si placa, si riesce a ridimensionare l’eventuale torto subito, a ricordarci di quante volte anche noi abbiamo recato dolore agli altri.
Spesso si rifiuta di perdonare perché si vorrebbe che il perdono zampillasse con slancio da un cuore del tutto purificato, e non sentire, da subito, più alcuna amarezza. Ma questo è un modo ragionare sbagliato. Infatti anche il perdono risente della nostra condizione umana. È più o meno imperfetto. Si perdona un po’ alla volta, difficilmente in modo immediato e totale. L’alternativa, quindi, tra un perdono scevro da ogni risentimento e rimandare il perdono, è semplicemente una scappatoia per non perdonare affatto. Tutto questo Stefano lo aveva ben presente, ma può bastare per morire e pronunciare, con parole analoghe a quelle del Cristo, «Padre non imputare loro questo peccato» At 7,60? Può bastare ad una madre a cui è stato ucciso il figlio per perdonare il suo assassino? Il comportamento di Gesù verso i suoi carnefici è importante, ma rimane qualcosa di esterno, e non si potrebbe imitare se non ci fosse l’aiuto proveniente dalla Grazia, che agisce dal di dentro. Il vero perdono, infatti, è un atto soprannaturale. Per questo motivo morendo Cristo ha emesso il suo Spirito e ce l’ha donato. Allo stesso modo, non appena risorto, egli rende i suoi discepoli capaci, a loro volta, di perdonare: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti» Gv 20,22-23.

Se Gesù non ci avesse inviato lo Spirito, la sua Parola non avrebbe potuto essere così radicale. Non avrebbe potuto chiederci di amare e perdonare i nostri nemici, perché questo non è possibile sul piano puramente naturale, e nessun ragionamento ed esempio sarebbero sufficienti.

Padre Piero Gheddo ha voluto raccontarci un episodio toccante, avvenuto in un villaggio dell’India, di cui è stato testimone oculare. Questo villaggio era abitato da parìa, poveri braccianti agricoli che il missionario aveva convertito al cristianesimo. Si giunse al giorno del Battesimo e per l’occasione si era organizzata una bella festa con canti e danze. La felicità di quella povera gente era commovente: per loro diventare cristiani voleva dire iniziare un cammino di redenzione sociale e soprattutto entrare in una fede religiosa che scaccia la pura degli spiriti e apre il cuore alla gioia, alla fraternità. Il missionario ne battezza centosessanta in un solo giorno. Alla sera lascia il villaggio. La mattina del giorno dopo, tre giovani in pianto giungono da quel villaggio alla casa del missionario. «Venite subito», dicono, «là è successo un finimondo, ci sono feriti, abbiamo perso tutto». Il missionario va’ e trova il villaggio quasi distrutto. Era successo questo: i non cristiani dei villaggi vicini non avevano visto bene questa conversione di massa, e avevano voluto dare una lezione a quella povera gente. Mentre le suore curavano i feriti e distribuivano i primi aiuti, Padre Colombo chiama i capi famiglia e dice loro che sarebbe andato dal giudice a chiedere la punizione dei villaggi che avevano commesso questa ingiustizia. Ma si sente rispondere: «Padre, noi non vogliamo vendetta, né giustizia. Tu ci hai detto che il Battesimo è il più grande dono di Dio e che la croce è il segno di chi segue Gesù Cristo. Ecco, noi vogliamo soffrire in silenzio qualcosa per ringraziare Dio per il dono ricevuto. Non ci hai forse detto che dobbiamo perdonare le offese ricevute, come ha fatto Gesù?». E pensare che per cultura di questa gente la vendetta è considerata una cosa sacra. La Grazia, però, aveva trasformato completamente il cuore, tanto da stupire lo stesso missionario.

Sia lodato Gesù Cristo.

Colloquio Spirituale.
Signore, io credo all’amor tuo per me!
Come potrei ancora dubitare?
«Tu sei disceso dalla grande altezza della tua Divinità, fino al loto della nostra umanità, perché la bassezza dell’intelletto mio non poteva né comprendere, né riguardar
e l’altezza tua. Affinchè con la mia piccolezza io potessi vedere la grandezza tua, Tu ti facesti pargolo, rinchiudendo la grandezza della tua Deità nella piccolezza della nostra umanità. E così ti sei manifestato a noi nel Verbo dell’Unigenito tuo Figliuolo; così ho conosciuto Te, abisso di carità! Vergognati, vergognati, cieca creatura, tanto esaltata ed onorata dal tuo Dio, di non conoscere che Dio, per la inestimabile carità sua, è disceso dall’altezza della Deità infino alla bassezza del loto dell’umanità tua. O amore inestimabile, o amore inestimabile, che gli dici tu, anima mia? Dico a te, Padre eterno, supplico te, benignissimo Dio, che Tu comunichi noi, e tutti i servi tuoi, col fuoco della tua carità». Santa Caterina da Siena.
O Dio, come ho bisogno di conoscere il tuo amore infinito! Conoscere per credere, credere per amare, amare per darmi totalmente a Te, senza riserva, così come Tu ti sei donato tutto a me.  Come vorrei, o mio Dio, ricambiare il tuo dono!
Ma Tu che sei tutto mi hai dato tutto, mentre io che sono nulla non posso darti che il nulla! Eppure quanto sono tardo, pigro, avaro nel darti questo nulla, come cerco di risparmiarmi, di darmi con misura, con prudenza… Oh, il tuo amore non ha conosciuto misura, non ha calcolato la distanza infinita che va dal Creatore alla creatura, ma ha sorpassato e colmato questa distanza, unendo in modo indissolubile la natura umana con la Persona divina del Verbo! Com’è vero che l’amore non conosce ostacoli e tutto vince, a tuto si accomoda, pur di raggiungere il suo scopo!
O dolce Bambino Gesù, mio Dio, mio Salvatore, concedimi di comprendere sempre di più la grandezza e la profondità del tuo amore; fammi penetrare in questo abisso sconfinato di cui nessuna creatura potrà mai toccare il fondo! Via via che mi addentro in esso, sento nascere in me una nuova forza, un nuovo impulso che mi spinge irresistibilmente a darmi del tutto a Te. Sai come ho bisogno di questa forza, questo impulso si accresca, si consolidi per rendermi veramente generoso e pronto ad ogni sacrificio, ad ogni donazione.
O Signore, che io comprenda la tua infinita carità, che abbia in essa una fede incrollabile, e che poi non rifiuti mai nulla al tuo amore: ecco il dono che ti chiedo nel tuo Natale!

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